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Medaglia d’Oro

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lilesa

Quando taglia il traguardo nella maratona a Rio de Janeiro, gara simbolo delle Olimpiadi, giungendo secondo e conquistando la medaglia d’argento, Feyisa Lilesa incrocia le braccia al cielo. Il gesto inequivocabile delle manette. Una protesta contro il suo governo per far conoscere al mondo ciò che sta accadendo nel suo Paese, l’Etiopia.

‘Il governo etiope sta uccidendo il popolo Oromo espropriando la sua terra e le sue risorse’ racconta. ‘Negli ultimi nove mesi più di mille persone sono morte. Altri sono accusati di tradimento. E’ una situazione molto pericolosa per il popolo Oromo’. Un altro etiope, Kenenisa Bekele, attuale primatista del mondo dei 5 e 10mila metri, è stato escluso dalla squadra olimpica ufficialmente per motivi ‘tecnici’ ma forse proprio a causa della sua etnia oromo.

Le Olimpiadi e altre grandi manifestazioni sportive sono state usate talvolta dagli atleti per protestare o  lanciare dei segnali al mondo. Gli americani Tommy Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968 con il pugno alzato e il guanto nero manifestarono contro i diritti negati ai neri in America. Atlete russe durante i Mondiali di Mosca 2013 si sono baciate sul podio per protestare contro le leggi anti-omosessuali approvate dal governo. E a Rio il gesto delle manette di Lilesa punta il dito contro la politica del suo governo.

Le organizzazioni per i diritti umani riferiscono di proteste represse nel sangue in Etiopia. Secondo Human Rights Watch i morti sono oltre 400, ma altri attivisti per i diritti umani parlano di cifre molto più alte e di migliaia di arresti. Da oltre due anni gli Oromo manifestano in tutto il Paese ritenendosi perseguitati e marginalizzati. Le proteste sono scoppiate dopo la decisione del governo di dar corso a un piano di sviluppo che espande i limiti territoriali della capitale Addis Abeba fino ai villaggi e città oromo e che rappresenta di fatto un’annessione destinata a cacciare dalle loro terre ancestrali i contadini oromo. Da anni vengono denunciate le politiche del governo che costringono gli Oromo ad abbandonare le loro terre, destinate a investimenti privati, per trasferirli in villaggi governativi. Gran parte della popolazione etiope vive di agricoltura di sussistenza praticata su piccoli appezzamenti di terreno. Ma nella valle dell’Omo in centinaia di migliaia sono costretti ad abbandonare le loro terre.

oromia mappa

Gli Oromo rappresentano oltre un terzo dei cento milioni di abitanti dell’Etiopia ma storicamente sono stati tenuti ai margini della vita politica, lavorativa e sociale.  Quando l’attuale governo venne al potere un quarto di secolo fa, cercò di dividere i due maggiori gruppi etnici del Paese, gli Oromo e gli Amhara, presentandoli come eterni avversari. Facendo passare gli Oromo come secessionisti che mirano alla disintegrazione del Paese e gli Amhara come nazionalisti che cercano di ripristinare l’antico ordine feudale, il governo ha potuto intensificare i controlli e reprimere il dissenso, ventilando una ‘minaccia terroristica’. Nello stesso tempo il partito al potere – il Fronte Democratico Rivoluzionario del Popolo Etiope –  e l’élite della minoranza etnica Tigrè, di fronte ai crescenti interessi occidentali nella regione hanno potuto presentarsi alle potenze globali come l’unico movimento politico in grado di mantenere la stabilità nel Paese.

Lo scorso luglio le proteste si sono estese dalla regione degli Oromo anche a quella degli Amhara. Insieme rappresentano oltre due terzi della popolazione etiope. Se torno in Etiopia il governo mi ucciderà’, dice Lilesa. ‘Oppure mi accuseranno. Mi bloccheranno all’aeroporto. Vorrei cercare di andare in un altro Paese’. In Etiopia ha moglie, due figli, i genitori, un fratello e una sorella. Mentre sta parlando dice di temere che siano già stati arrestati.  ‘Quando qualcuno bussa alla tua porta’, racconta, ‘non sai mai chi possa essere, la gente o un soldato’.

22.08.2016

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