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La Battaglia dei Poveri

La Battaglia dei Poveri
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Centinaia di migliaia di indiani cercano di tornare ai loro villaggi dopo la chiusura totale del Paese

Perché il Coronavirus, o COVID 19, ha colpito finora soprattutto l’emisfero nord? Domanda difficile, risposta difficile. Forse perché molti contatti con il focolaio iniziale in Cina sono avvenuti principalmente con settori lavorativi legati a imprese occidentali, molte di queste italiane. Eppure la Cina è pesantemente presente in molte aree del sud del mondo, al qua e al di là dell’equatore, dal sud dell’Asia, all’America Latina, all’Africa. Forse il clima? In questo periodo dell’anno nella parte nord della terra è inverno, dall’altra parte è caldo e il virus forse attecchisce in temperature basse, ma non troppo basse, è stato meno devastante in Russia e Scandinavia dove è ancora freddo intenso, più che nel Mediterraneo, dove le temperature sono più miti, a più facile portata di virus. Forse il clima. Se fosse davvero così temperature meno calde ma non troppo fredde che stanno lentamente avvolgendo il sud del pianeta diventerebbero terreno fertile per il propagarsi del virus. E sarebbe una tragedia di proporzioni inaudite, ben oltre la già drammatica situazione che sta coinvolgendo Cina e mondo occidentale. Sembra quasi inevitabile, è il messaggio che viene propagato, con qualche eccezione, ormai ovunque nel mondo. Ma l’Occidente ha risorse sanitarie ed economiche ben diverse da quelle del cosiddetto mondo in via di sviluppo. “La catastrofe sta per colpire”, è il messaggio lanciato da Henrietta Fore, Direttore Esecutivo del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF). “E’ solo questione di tempo. Bambini e famiglie non hanno il lusso di poter chiamare un medico se si ammalano. Molti non possono neanche lavarsi le mani o stare lontano dagli altri per evitare di trasmettere il contagio.”

Le immagini giunte in questi giorni dall’India sono agghiaccianti. Centinaia di migliaia di persone ammassate sulle strade di Delhi in cerca di fuga verso i loro villaggi natali. Molti si incamminano per centinaia di chilometri per raggiungere le famiglie dopo l’annuncio del primo ministro Narendra Modi che il Paese sarebbe stato bloccato di fatto dopo poche ore. Sono seguiti all’istante panico e calca, forieri di altra potenziale devastante infezione di massa. Per tre settimane un miliardo e trecento milioni di indiani sono confinati nelle loro case. Solo i servizi essenziali possono funzionare. Il governo ha esortato la gente a lavorare da casa. Impossibile in un Paese in cui oltre tre quarti degli indiani in età lavorativa ricevono un salario giornaliero oppure lavorano in proprio e comunque privi di ogni assistenza sociale o sanitaria. In India come nel vicino Bangladesh, migliaia di lavoratori del tessile non ricevono alcun compenso economico nonostante abbiano completato il lavoro loro commissionato dai grandi marchi mondiali della moda, i quali si rifiutano di ricevere, e quindi pagare, il prodotto finito perché non saprebbero come smerciarlo.

L’annuncio improvviso del primo ministro ha suscitato aspre critiche nel Paese. Ma ecco giungere in soccorso a Modi i suoi seguaci nazionalisti indù del partito di governo Bharatiya Janata Party (BJP). Annunciano che sono stati i musulmani a propagare il virus. Messaggi online e video mostrano folle di musulmani riuniti e la polizia che interviene per disperderli. Un gruppo musulmano di Delhi è accusato di aver organizzato due settimane fa un incontro religioso nella capitale ignorando le linee guida del governo che raccomandavano ai cittadini di non riunirsi in gruppo per prevenire il contagio. All’incontro avrebbero preso parte duemila persone. Ventiquattro sarebbero risultate infette, sette i morti. Notizie che rischiano di provocare non solo allarme sociale ma anche ripercussioni per la sicurezza pubblica in un momento di forti tensioni dopo la recente decisione del primo ministro indiano di far approvare una legge discriminatoria che concede la cittadinanza agli immigrati stranieri di religione non indù, escludendo però i musulmani. Omar Abdullah, ex primo ministro dello stato indiano del Kashmir, ha scritto in un tweet: “Per alcuni è una scusa comoda per umiliare i musulmani ovunque, come se noi avessimo creato e propagato il COVID nel mondo.”

Non altrettanto clamore hanno suscitato altri raduni organizzati da persone vicino ai nazionalisti indù. Due giorni dopo la riunione religiosa del gruppo musulmano a Delhi molti fedeli indù si sono radunati nel tempio del santone Sai Baba nel Maharashtra, lo stato di Mumbai. Alcuni giorni dopo il primo ministro dello stato del Madhya Pradesh, appartenente al partito di governo ha prestato giuramento come capo del governo locale davanti a una grande folla, ignorando le raccomandazioni di mantenere sufficiente distanza uno dagli altri. E all’indomani dell’annuncio di Modi della chiusura dell’India intera alle attività non essenziali, il primo ministro di un altro stato governato dal BJP, l’Uttar Pradesh, ha organizzato un incontro religioso in violazione delle nuove regole.

A detta degli esperti sanitari il peggio deve ancora accadere e non si tratta, ribadiscono, di catastrofismo, ma di senso della realtà. In Africa la situazione potrebbe diventare ancora più esplosiva. La Cina è pesantemente presente nel continente africano con la sua manodopera in un’espansione economica e geopolitica di enormi dimensioni. Molti Paesi stanno già soffrendo in seguito ad altre catastrofi naturali o sanitarie. Come la Repubblica Democratica del Congo che sta ancora combattendo per la diffusione dell’ebola. La Tanzania è stata poco tempo fa colpita da una grave inondazione. Nella Repubblica Centrafricana conflitti interni hanno causato milioni di sfollati. Le condizioni sanitarie sono già al collasso. In Sudafrica la valuta si è già deprezzata. “I Paesi più poveri saranno quelli più duramente colpiti”, ha detto il Presidente della Banca Mondiale David Malpass, “specialmente quelli maggiormente indebitati prima della crisi.” Un rapporto del Fondo delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP) appena divulgato sostiene che la perdita economica nei Paesi in via di sviluppo supererà i 220 miliardi di dollari.

Catastrofe di proporzioni inaudite è quella annunciata nei campi profughi di tutto il mondo. Oltre trenta milioni di bambini sono stati costretti a lasciare le loro case, quasi metà a causa di conflitti interni. Quarantamila profughi sono ammassati nelle isole della Grecia. Quasi un milione nel nord della Siria. Tre milioni e settecentomila venezuelani si sono rifugiati in altri Paesi dell’America latina. In Bangladesh centinaia di migliaia di Rohingya, etnico-chic minoritaria musulmana, sono fuggite dal vicino Myanmar (ex Birmania), inseguite dalla persecuzione etnico-religiosa di un Paese a maggioranza buddista e costrette ora in accampamenti sovraffollati. Come è possibile rispettare una distanza di sicurezza quando una baracca di dieci metri quadrati ospita una dozzina di persone? “La maggior parte di noi non ha idea di cosa sia questa malattia,” ha raccontato un profugo Rohingya. “La gente ha solo sentito che ha ucciso già tante persone. Ci affidiamo solo alla pietà di Dio.”

31.03.2020

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