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Deportazioni 2016

Deportazioni 2016
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Di nascosto, nel cuore della notte,  tre ore prima del previsto per evitare attivisti, fotografi, telecamere e proteste,  è partito il piano di espulsioni stabilito dall’Unione Europea dopo l’accordo con la Turchia. 202 migranti, per  lo più pakistani e afgani,  scortati dal personale Frontex,  l’agenzia europea di protezione delle frontiere, sono stati imbarcati il 4 aprile su battelli nelle isole greche di Lesbos e Chios. Destinazione la città costiera turca di Dikili.  Di qui degli autobus li hanno portati a campi profughi a quattrocento chilometri di distanza. Vengono chiamati eufemisticamente rimpatri  o respingimenti.  In realtà  si tratta di deportazioni, un termine accuratamente evitato perché  ricorda un passato non ancora dimenticato. Poche ore prima la polizia antisommossa si era scontrata con residenti locali a Chios, durante una protesta contro le deportazioni pianificate.

Nel tentativo di limitare l’arrivo di migranti, l’Unione Europea ha firmato un accordo con la Turchia, . “Tutti i nuovi migranti irregolari in viaggio dalla Turchia verso le isole greche dovranno tornare in Turchia”, recita il comunicato sull’accordo. La Turchia riceverà per questo dall’Unione Europea sei miliardi di euro. Il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha sottolineato che l’accordo “è conforme a tutte le norme dell’UE e internazionali. Le domande dei rifugiati e dei richiedenti asilo saranno trattate singolarmente e si potrà presentare ricorso. Il principio di non respingimento sarà rispettato.” Sarà veramente così? Le prima indicazioni indicano il contrario.

Si profila all’orizzonte una deportazione in massa di migranti verso la Turchia, a sua volta già colma di profughi e non è difficile immaginare quali standard legali e sanitari siano applicati. Inoltre,  in base all’accordo, sarà accolto nell’Unione Europea un profugo siriano dalla Turchia, se la sua richiesta sarà considerata ammissibile,  in cambio di un profugo  siriano respinto dalla Grecia.  Un siriano ‘legale’ entra e uno ‘illegale’ esce. Tutti gli altri fuori.  Dopo l’entrata in vigore del piano, il 20 marzo scorso, e a seguito delle politiche di chiusura adottate da alcuni Paesi europei, decine di migliaia di migranti sono bloccati in Grecia  in attesa di ricevere informazioni precise per proseguire il proprio viaggio. E altri ne arrivano. Donne, uomini e bambini che vivono in condizioni disumane all’interno di tende da campeggio piantate nel fango.  Come in un campo di prigionia non è possibile uscire fino al termine della conclusione delle procedure di richiesta o rigetto dell’asilo. Nessuno osa stimare quanto tempo sia necessario per terminare l’iter burocratico, anche perché il personale è inadeguato e insufficiente e solo poche persone ogni giorno vengono interrogate.   Le condizioni del campo di detenzione si stanno deteriorando, dice l’ONU. Vi sono stati disordini  negli ultimi giorni perché molti si sentono insicuri riguardo al futuro.

Lo scopo del piano è quello di limitare ai soli richiedenti asilo l’accesso ai paesi europei, e di rifiutare le domande presentate da chi si muove per ragioni economiche, attraverso misure di contenimento, attuate dalla Turchia.  Ma quali modalità verranno utilizzate dalla Grecia e dalla Turchia per rispettare l’accordo? Nessuno lo sa, mentre si cerca di  preservare una facciata di legalità per le deportazioni di massa. Ankara non ha ancora approvato la legislazione necessaria a fornire protezione internazionale a chi è in fuga dalla guerra e sulle isole greche tarda ad arrivare l’esercito di funzionari europei che dovrebbe aiutare ad analizzare le richieste di asilo.  Inoltre, forti dubbi sono stati espressi dagli enti umanitari, compreso l’Alto Commissariato dell’ONU per i diritti umani, sulle procedure che verranno adottate per stabilire se un migrante abbia diritto all’asilo. Il sospetto è che tutto venga fatto in grande fretta, senza le necessarie  garanzie e senza rispettare le leggi internazionali.  L’inammissibilità di  una richiesta di asilo e la successiva deportazione in Turchia verrà presa dopo un  esame individuale e secondo parametri corretti, come prevede la legge? Se così non fosse, verrebbe violata la direttiva europea  sulle procedure in base alla quale la persona viene rimandata in un paese “di primo asilo” considerato “sicuro”. Si incorrerebbe poi  in una seconda violazione della direttiva europea. La Turchia, infatti, difficilmente si potrà considerare uno stato “sicuro” dal momento che da anni vengono messi in discussione sia il suo livello di sicurezza che il rispetto dei diritti fondamentali della persona. Ragioni  che hanno impedito finora alla Turchia di entrare a far parte dell’Unione europea. In base alla Convenzione di Ginevra un profugo in fuga dalla guerra o dalla persecuzione  non può essere espulso finché la sua richiesta di asilo non sia stata adeguatamente vagliata e deve essere comunque mandato in un Paese che rispetta le norme internazionali.  Organizzazioni per i diritti umani come Amnesty International accusano la Turchia di deportare  profughi siriani in gruppi di un centinaio di persone  in Siria, dove è in corso una guerra.

Il  fallimento o meno del piano europeo si misurerà attraverso la verifica dell’effetto deterrente che vorrebbe ottenere.  Sarebbe un errore clamoroso pensare  di aver in questo modo risolto la questione dei migranti. La volontà di raggiungere altri Paesi in cui richiedere  protezione è troppo forte per essere arginata. La ricerca di una vita migliore, sia essa una fuga dalle guerre o la ricerca di un benessere, fa parte della storia umana. Chi arriva qui  rischia la vita.  E non c’è legge, direttiva, procedura o filo spinato che possa fermare una persona disperata.

07.04.2016

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