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La Cultura dell’Impunità

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Francisco Pacheco Beltrán, 55 anni, lavorava per diversi giornali regionali e per una stazione radiofonica. Seguiva la cronaca nera del suo Paese, intrisa di omicidi e di crimine organizzato.  E’ stato crivellato di colpi in un agguato davanti alla sua casa sua a Taxco de Alarcón, nel Messico. Negli ultimi quindici anni i giornalisti assassinati in Messico sono stati centoquattro. Di altri venticinque non si ha notizia. Il Messico detiene un triste primato, quattordici giornalisti messicani assassinati su un totale di quarantatré in tutta l’America Latina. Tre quarti degli omicidi sono opera di gruppi criminali e quasi il dieci per cento sono opera dei militari. Secondo Articolo 19, associazione anti-censura con sede in Gran Bretagna, ogni ventidue ore viene aggredito un giornalista messicano. Quasi sempre gli autori dei delitti rimangono ignoti. Una cultura dell’impunità che ha fatto breccia profonda in almeno altri due Paesi latino-americani. Honduras e Brasile.

Il 3 maggio è chiamato dall’ONU ‘World Press Freedom Day’. La giornata dedicata alla libertà di stampa nel mondo è scesa al suo punto più basso dell’ultimo decennio. Pressioni indebite del potere politico, del crimine organizzato e attacchi del terrorismo cercano di ridurre al silenzio i media in ogni parte del mondo.  L’annuale Rapporto sulla libertà di stampa presentato da Freedom House, organizzazione indipendente di base a Washington, in lotta per la libertà e democrazia nel mondo,  è sconfortante. “Le forze contro la libertà di stampa,” dice Jennifer Dunham, direttore ricerca a Freedom House, “sono state più forti in Medio Oriente e in Turchia, dove i governi e i gruppi fondamentalisti hanno messo sotto pressione giornalisti e media, al fine di farli schierare, in una sorta di ‘o con noi, o contro di noi’, creando un clima illiberale e attaccando coloro che hanno rifiutato di farsi intimidire”. Nonostante le minacce alla libertà di stampa, giornalisti e blogger di tutto il mondo continuano a rischiare la vita, come i giornalisti clandestini di Raqqa, che documentano le violazioni e le atrocità di Daesh, conosciuto anche come Isis. Nonostante la Siria sia il Paese più pericoloso al mondo, molti cittadini hanno formato gruppi indipendenti per raccontare la guerra civile e la violenza quotidiana in Siria.

Secondo Freedom House solo il 13% della popolazione mondiale gode di una libera stampa. In cima alla lista dei 211 Paesi figurano i Paesi scandinavi insieme a Belgio e Olanda, mentre il 41% del mondo, fra cui l’Italia, ha una stampa parzialmente libera e il 46% vive in paesi senza media liberi. Tra gli stati che hanno subito la maggiore contrazione di libertà vi sono Bangladesh, Turchia, Burundi, Francia, Serbia, Yemen, Egitto, Macedonia  e Zimbabwe. I Paesi al punto più basso  del mondo sono  Bielorussia, Cuba, Guinea equatoriale, Eritrea, Iran, Corea del Nord, Siria, Turkmenistan e Uzbekistan. Al 176esimo la Russia Russia, definita ‘innovatore della moderna propaganda con i suoi sforzi per il controllo e la manipolazione dell’informazione.

In Europa  l’86%  della popolazione gode di una situazione di libertà e il 14% può definirsi parzialmente libero. Ma  vi sono anche notevoli eccezioni.  Fra le prime misure adottate dal nuovo  governo di destra in Polonia vi è stata quella di consentire all’esecutivo di controllare direttamente, e licenziare, i giornalisti dei media di proprietà dello stato, così come nella vicina Ungheria, dove l’influenza sui media del primo ministro Viktor Orbán è stata determinante durante la crisi dei rifugiati. Dopo l’attacco alla redazione di Charlie Hebdo  la Francia ha di fatto modificato lo stato di libertà e autonomia dei giornalisti. Ma anche la Spagna ha introdotto leggi restrittive in nome della sicurezza pubblica mentre in Gran Bretagna  le leggi sono in fase di revisione. E in Serbia alcuni giornalisti hanno subito aggressioni fisiche, rafforzando l’auto-censura in tutto il settore dei media.

Indagare su corruzione nel mondo degli affari o di governo, su disastri ambientali,  su religione o anche su sovranità territoriali contese pone giornalisti a rischio  di molestie e violenza in molte parti del mondo che vanno da richieste di risarcimenti esorbitanti in cause civili, a condanne con detenzione, fino all’omicidio.  Ma esistono anche reati di lesa maestà, leggi contro chi esprime “offese” verso lo stato o i governanti in diversi paesi, e alcuni leader non esitano a usarle contro le voci critiche.  In Thailandia  un uomo è stato arrestato per la pubblicazione di un commento umoristico on-line sul cane del re. In Turchia le autorità hanno perseguito un medico che in un’immagine condivisa on-line, aveva paragonato il presidente Recep Tayyip Erdoğan a un personaggio del film Il Signore degli Anelli.  Lo stesso presidente turco ha chiesto alla Germania di portare in giudizio un comico  tedesco che aveva letto in tv un poema satirico che lo aveva fatto infuriare. La Cancelliera Angela Merkel a sorpresa ha autorizzato l’incriminazione del comico, decisione letta da molti come un segnale di sudditanza verso il governo turco dopo la firma dell’accordo sui migranti tra Unione Europea e Turchia. Tre giorni dopo il ‘World Press Freedom Day’, Can Dündar, direttore del quotidiano turco Cumhuriyet, è stato condannato a cinque anni e dieci mesi per aver divulgato segreti di stato. Per lo stesso reato è stato condannato a cinque anni Erdem Gül,  capo dell’ufficio di Ankara dello stesso giornale.  Lo scorso anno i due giornalisti avevano diffuso immagini su un presunto trasferimento di armi dai servizi segreti turchi verso gruppi armati in Siria. I due giornalisti sono a piede libero in attesa dell’appello.

L’Italia è al 63esimo posto, considerata da Freedom House un Paese ‘parzialmente libero’.  Viene posizionata dopo la Spagna e seguita dalla Romania, a causa della precarietà del sistema dei media e degli attacchi all’autonomia professionale dei giornalisti. Ancor più sconfortante è l’analisi di Reporters Sans Frontièrs, organizzazione per la difesa della libertà d’informazione. Nel suo Rapporto 2016 colloca l’Italia fra Moldavia e Nicaragua, al 77° posto, quattro in meno rispetto a un anno fa.  Cita il quotidiano La Repubblica, riportando che fra 30 e 50 giornalisti  vivono sotto scorta perché minacciati.  “Il livello di violenza nei confronti dei giornalisti, comprese intimidazione fisica e minacce di morte è allarmante”, si legge nel rapporto. “I giornalisti che indagano su casi di corruzione o sul crimine organizzato sono i più bersagliati. Nella Città del Vaticano il sistema giudiziario sottopone a intimidazioni  i media in relazione agli scandali  Vatileaks 1 e 2. Due giornalisti rischiano fino a otto anni di reclusione per aver scritto libri sulla corruzione e gli intrighi nella Santa Sede”.

“La stampa libera può, naturalmente, essere buona o cattiva”, ha scritto Albert Camus. “Ma è certissimo che senza libertà non potrà essere altro che cattiva.” Yehia Ghanem, noto giornalista egiziano, aveva cercato di creare un centro di formazione per giornalisti durante le elezioni che portarono al potere Mohamed Morsi, poi deposto dall’esercito un anno dopo.  Ghanem vive in esilio negli Stati Uniti, lontano dalla famiglia e dai suoi tre figli.  Tornare al suo Paese significherebbe essere arrestato. E’ stato condannato a due anni di carcere insieme ad altri giornalisti egiziani dopo un processo farsa, accusati di aver ricevuto denaro illegalmente da organizzazioni non governative straniere. Due anni fa, davanti  a diplomatici e funzionari dell’ONU Ghanem, parlando della lotta a favore della stampa libera nel suo Paese, pronunciò queste parole: “La libertà di espressione e la libertà di stampa rappresentano il sistema immunitario naturale di ogni società. Nel corpo umano un virus cerca di colpire innanzitutto il sistema immunitario. Come nel corpo umano le dittature colpiscono per prima cosa la libertà di espressione e in particolare la libertà di stampa.”

19.05.2016

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