La Ragazza dagli Occhi Verdi
Era il mese di giugno 1985 quando il National Geographic, una delle più grandi riviste fotografiche del mondo, pubblicò in copertina l’immagine di una ragazza afghana. Quegli occhi verdi, misteriosi e tristi, fecero il giro del mondo. Il fotoreporter americano Steve McCurry la immortalò in un campo profughi alla periferia di Peshawar, in Pakistan. Divenne l’immagine simbolo, la più famosa fino ad oggi della rivista americana. Una foto destinata a entrare nella storia. Come quella di Kim Phùk, la bambina vietnamita di nove anni, nuda, gravemente ustionata sulle braccia e sulla schiena, in fuga dalle bombe al napalm sganciate dagli aerei americani. Kim divenne il simbolo degli orrori di tutte le guerre. Sharbat Gula, allora dodicenne, divenne il simbolo del conflitto che dilania da sempre l’Afghanistan. Quel suo viso, parzialmente coperto da un velo scarlatto, quegli occhi verde ghiaccio, che sembrano scrutare l’obbiettivo, sono diventati anche il simbolo di tutte le tragedie che perseguitano il mondo dei poveri.
Di etnia pashtun, divenne orfana all’età di sei anni, durante la guerra russo-afghana. Insieme alla nonna, al fratello e a tre sorelle attraversò le montagne per giungere in un campo profughi nei pressi di Peshawar, in Pakistan, nel 1984. Quello stesso anno Mc Curry la incontrò mentre studiava in una scuola improvvisata all’interno del campo.
Da oltre trentacinque anni il Pakistan povero ospita chi è ancora più povero. I primi rifugiati giunsero all’epoca dell’invasione sovietica in Afghanistan alla fine degli anni Settanta. I conflitti successivi hanno poi alimentato nuove ondate di migrazioni. Nel Pakistan vivono oggi oltre due milioni di profughi, in gran parte afghani. Ma da qualche tempo la loro vita si è fatta più difficile. Due anni fa in un attentato furono uccise a Peshawar 141 persone, in gran parte ragazzi di una scuola militare. Una strage ad opera di un commando talebano. Gli autori non erano afghani ma da allora il governo pakistano ha lanciato un piano di rimpatrio dei profughi. Come altri, Europa compresa, ha deciso di deportare nei loro Paesi di origine chi ha cercato rifugio da guerre e miseria, anche se guerre e miseria ancora imperversano. Fra loro vi è anche Sharbat Gula.
Diciassette anni dopo la foto in copertina di quella ragazza dagli occhi verdi, McCurry e il National Geographic organizzarono una spedizione per scoprire se la ragazza fosse ancora viva. Dopo alcuni mesi di ricerche venne ritrovata in una regione remota dell’Afghanistan. Raccontò che si spostava spesso dal Pakistan all’Afghanistan, in base alla situazione e alla sicurezza del momento, attraverso montagne spesso bombardate da postazioni dei talebani o dai drone americani. Si era sposata, ha avuto tre figlie ma poi il marito è morto. Il mese scorso è stata arrestata in Pakistan con l’accusa di detenzione di documenti d’identità falsi, pratica comune fra i profughi in Pakistan. Condannata a quindici giorni di detenzione è stata poi liberata e rimpatriata. Giunta a Kabul insieme alle figlie è stata accolta dal Presidente Ashraf Ghani che le ha consegnato le chiavi di un alloggio popolare fornito dal governo perché viva in modo dignitoso e in sicurezza. “Felice di aver riabbracciato Sharbat Gula e la sua famiglia – ha scritto il presidente su Twitter – “Rappresenta tutte le donne coraggiose di questo Pese. La sua vita sia fonte di ispirazione per tutti noi.”
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