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Trump First

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Quando Donald Trump venne scelto dagli americani come il loro quarantacinquesimo presidente i suoi elettori si aspettavano di veder tradotte in pratica le sue promesse in tempi relativamente rapidi. Chi non ha votato per Trump si aspettava invece che avrebbe parzialmente modificato il suo punto vista anti-convenzionale di fronte a situazioni geopolitiche interne e internazionali complesse che impongono determinazione ma anche pacatezza, oculatezza oltre che competenza anche da parte del suo entourage, ministri e consiglieri compresi. Trump ha sorpreso tutti. Ha sorpreso i suoi elettori per aver agito ben più rapidamente e decisamente di quanto avessero solo sperato. E ha sorpreso i suoi nemici politici per non aver per nulla frenato la sua vena autoritaria e per non aver cercato alcuna forma di intesa con il Congresso, con il potere giudiziario, con la stampa e battendo i pugni sul tavolo su questioni di grande importanza per il mondo intero.

Non si può certo tacciare Donald Trump di incoerenza. A una campagna elettorale improntata sulla rinascita dell’America, costi quel che costi, ha fatto seguito una serie di decreti presidenziali in linea con le promesse elettorali. Ma il numero e la rapidità dei decreti a partire dal suo primo giorno alla Casa Bianca ha fatto pensare più che ad ‘America First’, uno degli slogan chiave della sua campagna nonché del suo discorso inaugurale, a ‘Trump First’, con un presidente che sembra non distinguere la differenza fra autorità e autoritarismo. Trump sembra ansioso di dimostrare da subito di essere un presidente che agisce rapidamente, anche se solo una parte del suo staff di governo è operativo.

La prima firma di Trump è stata su un decreto per la costruzione di un muro con il Messico, lungo una frontiera di 3182 chilometri. Impedirà ai vicini del sud di attraversare il confine e sarà finanziato, parole di Trump, dallo stesso Messico. Il presidente messicano si è detto ovviamente contrario, aggiungendo che non sarà certo il suo Paese a finanziare il progetto.

Altre promesse elettorali in procinto di  essere realizzate riguardano l’industria manifatturiera. Chi vuole investire negli Stati Uniti avrà forti incentivi fiscali, ma per chi vuol delocalizzare fabbriche o industrie saranno guai economici seri a suon di superdazi. Accanto a decreti presidenziali vi sono state nomine di governo in linea con la filosofia Trump. Ministri e consiglieri provengono dalle imprese. In gran parte si tratta di ricchi uomini d’affari e imprenditori senza esperienza politica, avvezzi, come Trump, a guidare la loro aziende o tutt’al più consigli di amministrazione.

Poi è arrivato il divieto all’ingresso negli Stati Uniti per tutti i cittadini provenienti da sette Paesi a maggioranza religiosa musulmana, Iran, Libia, Siria, Iraq, Yemen, Sudan, Somalia. Durante la campagna elettorale proclamò: “chiederò il totale divieto ai musulmani di entrare nel nostro Paese, fino a quando non capiremo ciò che sta accadendo”. Pochi giorni dopo il suo insediamento alla Casa Bianca ha firmato un decreto per impedire per tre mesi da subito ad ogni cittadino proveniente da sette Paesi a maggioranza religiosa musulmana di entrare negli Stati Uniti. Il divieto si applica anche a chi è già in possesso di visto o già in viaggio. Il risultato sono state famiglie divise. A persone che da decenni vivono e lavorano negli Stati Uniti è stato impedito di tornare a casa. Mogli divisi dai mariti, figli dai genitori. E le proteste degli americani sono diventate di massa. Forse nessuno dei suoi consiglieri ha detto al Presidente che da quell’11 settembre 2001 nessuno è stato ucciso negli Stati Uniti in un attentato terroristico da un immigrato o dal figlio di un immigrato di uno dei sette Paesi messi al bando e che gran parte degli omicidi accadono per opera di cittadini nati in America e che alcuni recenti attentati rivendicati dall’ISIS, il cosiddetto Stato Islamico, sono stati compiuti da persone che si proclamano musulmane ma che sono comunque nate negli Stati Uniti. Accanto al caos negli aeroporti  e alle proteste nel Paese, il potere giudiziario è intervenuto bloccando il decreto di Trump. Uno scontro fra i due poteri dello Stato tuttora in corso.

Ogni capo di stato o di governo è ovvio che pensi soprattutto al bene del suo Paese. Ma il bene che ha in mente un leader può non essere ciò di cui ha bisogno il suo Paese. Il futuro, a breve e a medio termine, non promette molto di buono. Centinaia di scienziati hanno dedicato gli ultimi mesi a copiare e archiviare dati e statistiche sul cambiamento climatico. La loro paura è che l’amministrazione possa manipolare i numeri per convincere i cittadini di una sorta di “verità alternativa”, vale a dire che il cambiamento climatico non esiste. Contro il ‘negazionismo climatico’ scienziati scenderanno in campo il 22 aprile in quella che è stata chiamata la ‘Giornata della Terra’. Una settimana dopo il decreto anti-musulmani ventimila docenti e ricercatori americani insieme a quaranta premi Nobel hanno firmato un documento anti-Trump in cui si legge:

Questo Ordine Esecutivo è discriminatorio. Colpisce ingiustamente un grande gruppo di immigrati e non-immigrati sulla base del loro Paese di origine, tutte nazioni a maggioranza religiosa musulmana… in contrasto con i valori e principi in cui crediamo. E’ un danno alla leadership americana nella ricerca e istruzione. Tremila studenti iraniani hanno completato dottorati di ricerca in università americane negli ultimi tre anni… molti individui di talento lasceranno gli Stati Uniti… si tratta di una misura che distrugge la vita di questi immigrati, le loro famiglie e le comunità di cui sono parte integrante. E’ disumano, inefficace e non-americano. Questo divieto avrà conseguenze ben oltre la sicurezza nazionale. Il trattamento discriminatorio e privo di etica nei confronti di immigrati rispettosi della legge, lavoratori e ben integrati è fondamentalmente contrario ai principi fondatori degli Stati Uniti.”

Jim O’Neill, ex funzionario del Dipartimento Sanità e Servizi Umani è uno dei candidati a guidare la Food and Drug Administration, l’agenzia americana che approva i farmaci da mettere in commercio. O’ Neill ha fatto sapere che secondo lui non è necessario accertare l’efficacia di un farmaco prima di essere messo in commercio. Se ciò venisse approvato dal Congresso a maggioranza repubblicana verrebbe di fatto cancellata la politica di protezione verso i consumatori mantenuta dall’Agenzia fin dagli anni sessanta, quando scoppiò lo scandalo in tutto il mondo della talidomide, farmaco che causò la nascita di bambini con gravi malformazioni. Altri candidati al posto di responsabile dell’Agenzia includono persone d’affari legate a case farmaceutiche.

Con l’era Tump potrebbe essere più facile perfino per una persona con problemi mentali acquistare legalmente armi da fuoco. I repubblicani al Congresso hanno apportato una modifica alle disposizioni in materia di sanità che di fatto rendono possibile anche per un disabile mentale acquistare armi da fuoco legalmente.

Cosa aspettarci da Trump? Nessun segreto sull’ammirazione che nutre per il Presidente russo Vladimir Putin, nonostante la soppressione in Russia di oppositori politici, accademici, giornalisti e gli abusi dei diritti umani. I 500mila morti nella guerra civile in Siria, in gran parte per mano del Presidente Bashar al-Assad non hanno fatto cambiare le espressioni di lode espresse in passato da Trump  nei confronti del dittatore siriano. Alcuni mesi fa Trump ha incontrato il generale Fattah al-Sisi, Presidente di un Paese, l’Egitto, notoriamente irriguardoso nei confronti dei diritti umani, definendolo “un uomo fantastico”. E che dire delle posizioni di Trump sulla tortura come metodo di interrogatorio? Nella prima intervista concessa dopo il suo insediamento alla casa Bianca, così si è espresso: “Ho parlato ventiquattrore fa  con gente al massimo livello dell’intelligence e ho fatto questa domanda: ‘Funziona? Funziona la tortura?’. E la risposta è stata: ‘Sì, assolutamente sì’. E penso io che funzioni? Assolutamente. Credo che funzioni.”

Il Congresso a maggioranza repubblicana con grande difficoltà potrà arginare le decisioni del Presidente ritenute rischiose.  Trump ha voluto dal primo momento marcare il territorio per far capire chi comanda ora, ma confondendo autorità con autoritarismo. Gli unici veri baluardi contro una possibile deriva antidemocratica sembrano  essere l’autorità giudiziaria e la stampa. I giudici stanno emergendo come una forza di sbarramento all’autoritarismo del Presidente americano. Ma nelle prossime settimane assumerà pieni poteri il nono giudice della Corte Suprema, attualmente composta da quattro giudici conservatori e quattro liberali. Con l’ingresso di un giudice nominato a vita da Trump la bilancia penderà per  decenni dalla parte della destra conservatrice vicina alle posizioni del Presidente. E il potere giudiziario al massimo livello avrà meno forza nel frenare eventuali abusi o decisioni, decreti o leggi con risvolti anti-costituzionali.

Trump non ama essere contraddetto e forse neppure ama il contraddittorio. Nella sua vita di uomo d’affari ha sempre diretto, comandato e agito da solo, senza freni. L’ultimo baluardo potrebbero essere proprio i giornalisti, quei ‘guardiani della democrazia’. Gli Stati Uniti hanno sempre avuto tra i suoi pilastri la stampa libera. Una delle ferite ancora aperte riguarda le “bugie” sulla guerra in Iraq che ancora pesano sulla coscienza del Paese. Forse non è un caso che all’indomani della sua investitura ufficiale Donald Trump  abbia fatto capire senza giri di parole cosa giornali e tv dovranno attendersi nei prossimi quattro anni: una guerra ai media. Parlando dagli uffici della CIA,  Trump ha chiarito che la sua ’guerra’ contro la stampa, nata durante la campagna elettorale, durerà. I giornalisti, ha detto,  “sono tra gli esseri umani più disonesti della terra”.

I Padri Fondatori degli Stati Uniti forse pensavano a situazioni come quella odierna quando nel 1776, secondo anno della Guerra d’Indipendenza, il parlamento coloniale della Virginia approvò una Dichiarazione dei Diritti che comprendeva la frase “la libertà di stampa è uno dei pilastri della libertà e non può mai essere limitata da governi dispotici.” E nel 1791 la libertà di stampa venne introdotta nel primo emendamento della Costituzione entrata in vigore due anni prima. Così recita:

“Il Congresso non promulgherà leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione, o che ne proibiscano la libera professione; o che limitino la libertà di parola, o di stampa; o il diritto delle persone di riunirsi pacificamente in assemblea e di fare petizioni al governo per la riparazione dei torti.”

1.02.2017

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