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Diritti Umani? No, Grazie

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bandiera cinese Quirinale

Il 22 marzo, mentre sventola sul palazzo del Quirinale a Roma la bandiera cinese accanto a quella italiana, i corazzieri a cavallo scortano l’auto del presidente cinese Xi Jinping. Un onore riservato solitamente a sovrani e imperatori. La modifica della costituzione cinese un anno fa ha abolito i limiti temporali per la più alta carica dello stato. Da sei anni Xi è Segretario generale del Partito Comunista Cinese (PCC), Presidente della Commissione Militare Centrale del PCC e Presidente della Repubblica Popolare Cinese. Da un anno è Presidente a vita, di fatto sovrano della Cina.

Da allora la repressione  è crescente. Il PCC ha rafforzato il suo potere. Sovrintende a un nuovo organismo governativo, la Commissione di Supervisione Nazionale che può tenere in isolamento fino a sei mesi senza processo chiunque eserciti autorità pubblica. Una vittima dei nuovi poteri repressivi potrebbe  essere Meng Hongwei,  presidente dell’Interpol, l’organizzazione internazionale di polizia e vice ministro cinese per la sicurezza pubblica, scomparso al suo rientro in Cina.

Le autorità hanno intensificato la repressione e gli abusi  contro i tredici milioni di musulmani di lingue turcofone, compresi gli uiguri e i kazaki nella regione nord-occidentale dello Xinjiang, con detenzioni arbitrarie di massa, torture e maltrattamenti e  imponendo controlli sulla vita quotidiana. Secondo stime credibili un  milione di persone sono trattenute a tempo indefinito  in campi di “educazione politica” che non hanno alcun fondamento in base alla legge cinese. Qui i musulmani sono costretti a imparare il cinese mandarino, a elogiare il governo e il partito e ad abbandonare la loro identità. Chi resiste viene punito con il carcere. Le autorità hanno  di fatto messo fuori legge la pratica dell’Islam nella regione.

In Tibet le autorità continuano a limitare la libertà religiosa e di parola, i movimenti e le assemblee. Hanno intensificato la sorveglianza delle comunicazioni online e telefoniche e usato una campagna nazionale contro la criminalità per incoraggiare la gente a denunciare membri delle loro comunità al minimo sospetto di opposizione al governo o simpatia per il Dalai Lama in esilio.

Con  il passaggio alla Cina del 1997, la Dichiarazione congiunta sino-britannica garantì a Hong Kong per cinquant’anni “un alto grado di autonomia”. Ma libertà di parola e partecipazione politica sono sempre più ostacolate. Secondo Human Rights Watch, organizzazione per i diritti umani,  ‘…i difensori dei diritti umani continuano a subire detenzione arbitraria, reclusione e sparizione forzata. Il governo mantiene uno stretto controllo su internet, i mass media e il mondo accademico. Le autorità hanno intensificato la persecuzione delle comunità religiose, inclusi i divieti sull’Islam nello Xinjiang, la soppressione dei cristiani nella provincia di Henan e il crescente controllo dei musulmani Hui a Ningxia.

Le autorità impiegano sistemi di sorveglianza di massa per rafforzare il controllo sulla società. Google nel 2010 aveva deciso di sospendere il suo motore di ricerca a causa della censura cinese. Ma lo scorso anno ne ha sviluppato uno apposito per il mercato cinese. Un’applicazione che sembrerebbe tener conto  delle richieste cinesi e che identifica e filtra  i siti non graditi dalla Cina. Dopo che la notizia è trapelata Google starebbe ora riconsiderando lo sviluppo del nuovo motore di ricerca.

Lo scorso  settembre, il Vaticano e la Cina hanno raggiunto un accordo storico, il cui testo non è stato reso noto, ponendo fine a un contrasto di decenni  sull’autorità per nominare vescovi in Cina. La Cina stima che dodici  milioni di cattolici sono divisi tra una comunità clandestina fedele al Papa e un’associazione governativa in cui i vescovi sono nominati dallo stato. Secondo l’accordo, Pechino proporrà dei nomi per i futuri vescovi e il Papa avrà potere di veto sulle nomine. Difficile pensare che un eventuale veto papale possa essere sostenuto a lungo.

Alcuni governi hanno espresso preoccupazione per le violazioni dei diritti umani in Cina, ma quasi nessuno ha intrapreso azioni per  por fine agli abusi e spingere la Cina verso il rispetto dei diritti umani. Un anno fa la Cina ha proposto una risoluzione in seno al Consiglio sui Diritti Umani, incentrandosi sulla cosiddetta ‘win-win cooperation’, che consente a tutti profitti ma che non da spazio alla società civile e non pretende alcuna responsabilità. Solo gli Stati Uniti hanno votato contro la risoluzione. La Cina continua a utilizzare la sua sede permanente nel Consiglio di sicurezza dell’ONU per bloccare importanti discussioni sulle questioni dei diritti umani.

La Cina continua anche a proseguire la sua iniziativa “One Belt, One Road” – una cintura, una strada, il megaprogetto infrastrutturale promosso a rivitalizzare commerci e investimenti a trazione cinese nonostante la mancanza di garanzie o il rispetto dei diritti umani in molti paesi partecipanti. Anziché One Belt One Road, l’Italia preferisce usare per questo progetto il termine  ‘La Nuova Via della Seta’. La Cina da alcuni anni finanzia megaprogetti soprattutto in Africa e in Asia. Alcuni Paesi, come Sri Lanka, in difficoltà con il pagamento dei debiti contratti, ha ceduto la sovranità di un porto, ora usato dalla Cina anche a scopo militare. Anche il Pakistan si trova in difficoltà. Altri governi, tra cui Myanmar e Malesia, si sono distanziati dagli accordi bilaterali di investimento precedentemente concordati, citando il debito insostenibile e le preoccupazioni sulla sovranità. Ora la Cina spinge sull’Europa. L’Italia si è fatta avanti prima degli altri Paesi europei, firmando un protocollo d’intenti e una trentina di accordi. Il governo italiano la ritiene una conquista, l’opposizione un passo falso ritenendo che l’Unione Europea  dovrebbe procedere unita su intese economiche che da parte cinese coinvolgono quasi esclusivamente imprese controllate dallo stato. Le parole ‘diritti umani’, sono state accuratamente evitate da tutti gli esponenti del governo italiano durante i tre giorni della visita del presidente cinese.

Lo scorso settembre, in un rapporto dal titolo ‘Il lungo gioco della Cina sui diritti umani alle Nazioni Unite, così si è espresso il Brooking Institution, ente di ricerca indipendente: “Coerentemente con le sue ambizioni di svolgere un ruolo centrale nel guidare l’ordine internazionale, la Cina sta emergendo come un attore fondamentale nel sistema internazionale dei diritti umani. Negli ultimi anni, la Cina è passata da un atteggiamento tradizionalmente difensivo a un ruolo più attivista, in particolare al Consiglio dell’ONU per i diritti umani. Ciò deriva da una strategia divisa in due parti che mira 1) a bloccare la critica internazionale alla sua repressione dei diritti umani e 2) a promuovere interpretazioni ortodosse della sovranità nazionale e della non interferenza negli affari interni che indeboliscono le norme internazionali in materia di diritti umani, trasparenza e responsabilità. Sebbene questi obiettivi non siano nuovi, le tattiche più proattive che i funzionari cinesi stanno usando, specialmente dopo la nuova nomina del presidente Xi Jinping, suggeriscono l’inizio di una più ampia campagna per rimodellare le regole e gli strumenti del sistema internazionale dei diritti umani.”

24.03.2019

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